
Una breve sosta nel villaggio medievale di Počitelj
Itinerario per visitare Počitelj, suggestivo villaggio medievale a sud di Mostar, in Erzegovina.
Ivo Andrić definì Počitelj la “città di pietra”, un’etichetta che racchiude perfettamente l’essenza di questo angolo di Erzegovina. Počitelj, a meno di 30 km da Mostar, sembra emergere direttamente dalla montagna su cui è abbarbicata, come se ogni suo edificio fosse cresciuto, passo dopo passo, tra i tronchi nodosi degli alberi, con cui condivide il grigiore della pietra che la compone.
Non è il tipo di posto che troverai sulla copertina di una guida turistica. Non c’è un McDonald’s. Nessuno cerca di venderti un tour con la bandierina. A Počitelj, non c’è molto rumore – solo vento, roccia, e il fiume che scorre come ha sempre fatto, fregandosene delle guerre, dei confini e delle bandiere.
È un villaggio che sembra costruito – sulle rive del fiume Neretva – più per resistere che per accogliere. La pietra è ovunque. Non solo nei muri, ma nell’aria, nei gradini consumati, negli sguardi di chi ancora vive lì. E non c’è bisogno di molte parole: ogni crepa, ogni rovina, ti racconta abbastanza. La storia è stratificata come il fumo in una stanza chiusa: Ungheresi, Ottomani, poi le bombe degli anni ’90. Ognuno ha lasciato qualcosa. Molti hanno portato via tutto il resto.
Počitelj non è intatta. Non è perfetta. Ma è vera. È il tipo di posto che ti mette a disagio, e proprio per questo, ti resta dentro. Perché in un mondo dove tutto è pensato per piacerti, qui non gliene frega niente di te. E forse è proprio questo il punto.
Indice
Cenni storici su Počitelj
Fu il re bosniaco Stjepan Tvrtko I a volerla nel XIV secolo, quando divenne sin da subito un importante centro amministrativo e militare della Dubrava župa – contea del regno bosniaco. Poi vennero gli ungheresi, quindi gli ottomani e infine gli austriaci. E ognuno ci ha lasciato qualcosa: una moschea qui, un hammam là, un silenzio che ti si infila addosso come un cappotto invernale. Dal XV al XVII secolo, Počitelj fiorì. Ma non come fioriscono le cartoline: qui si lavorava, pregava, commerciava e combatteva. Era un centro vivo, complicato. Un punto di passaggio, non un rifugio.



E poi, come spesso succede ai posti veri, è arrivato il declino. Nessun impero dura per sempre. Con l’arrivo degli austriaci, Počitelj ha cominciato a svanire – lentamente, con dignità. E proprio perché nessuno ci ha più fatto caso, il villaggio è rimasto com’era. Nessuno ha avuto interesse a modernizzarlo, a riempirlo di cemento o di resort.
Ma la guerra degli anni ’90 è stata un’altra storia. Niente romanticismo qui: edifici distrutti, vite spezzate, famiglie in fuga. Le cicatrici ci sono ancora, e vanno rispettate. Alcuni edifici sono stati ricostruiti, sì – grazie a chi ha creduto che salvare la memoria valesse ancora qualcosa. Nel 1996, il World Monuments Watch la inserì tra i 100 siti più a rischio del mondo, una chiamata d’allarme che ha spinto alla salvaguardia del suo patrimonio.
Dal 2000 in poi, Počitelj ha iniziato a riprendersi, grazie a un programma di restauro avviato dal Governo della Federazione di Bosnia ed Erzegovina. Piano. Senza fretta. Come tutto qui.
Cosa vedere a Počitelj
Le abitazioni del piccolo villaggio di Počitelj
Per capire davvero Počitelj, bisogna guardare più da vicino. Non ai monumenti, ma alle case, a quelle architetture residenziali che custodiscono storie di famiglie.
Le abitazioni della città sono un incontro perfetto tra due mondi. Da una parte, l’influenza mediterranea, con tetti a due falde, mura spesse in pietra e finestre strette che difendono la quiete. Dall’altra, il respiro ottomano: bovindi delicati, tetti a padiglione, cortili chiusi che proteggono e accolgono insieme. Ogni casa aveva il suo hajat, l’anticamera dove ci si toglieva la polvere del giorno, e un divanhana (soggiorno) sopra, dove si discuteva o si pregava.
Le case erano dotate di latrine nel cortile, e molte includevano anche un hamamdžiluk (un piccolo bagno) nella musandera, una struttura in legno intagliato che occupava un’intera parete della stanza principale.
Il legno intagliato regnava sovrano: nicchie, armadi, elementi decorati che occupavano pareti intere, a custodire non solo oggetti ma abitudini, piccole sacralità quotidiane. I camini, tondi e sporgenti, erano segni di vita vissuta. I tetti, coperti di lastre di pietra irregolari, sembravano dialogare con il paesaggio, non dominarlo. Le famiglie più ricche avevano un bagno per ogni stanza. Ma anche la casa più modesta possedeva dignità, coerenza, bellezza.
La moschea di Šišman Ibrahim-Paša a Počitelj
Nel cuore di Počitelj, appena sotto le mura che scrutano la valle, si trova la moschea di Šišman Ibrahim-Pasha, o come molti preferiscono chiamarla, la moschea di Hadži Alija. È un punto di equilibrio tra cielo e terra, un monumento alla grazia ottomana costruita con pietra, fede e geometria sacra.
Costruita tra il 1562 e il 1563 per volontà di Hadži Alija, in un’epoca in cui l’Impero Ottomano sapeva ancora far parlare le sue pietre, la moschea si erge con una cupola perfettamente proporzionata sopra una sala centrale semplice ma solenne. Non è ostentazione, è equilibrio. Ed è proprio in quella sobrietà elegante che si legge la potenza dello stile ottomano classico, adattato con sensibilità alla geografia e alla luce dell’Erzegovina.



Attorno a essa, come un piccolo sistema solare urbano, orbitano altri edifici che un tempo formavano il cuore pulsante della vita comunitaria: il mekteb (la scuola primaria per insegnare ai bambini), l’imaret dove si offriva cibo ai poveri, la medresa per gli studi religiosi, l’hammam (bagno turco), l’han (locanda), perfino una torre dell’orologio. Non era solo una moschea: era una città nella città, un organismo vivo dove spiritualità, sapere e quotidianità si intrecciavano.
Poi venne il 1993. Il minareto crollò. La cupola fu sventrata. La guerra, con la sua rabbia cieca, tentò di cancellare secoli di storia. Ma oggi la moschea è tornata a vivere, grazie a un meticoloso progetto di restauro.
La medresa di Šišman Ibrahim-Pašha di Počitelj
E proprio accanto alla moschea, la Medresa di Šišman Ibrahim-Pasha racconta un altro capitolo della storia del villaggio di Počitelj. Fondata prima del 1664 – lo attesta Evlija Čelebi, un viaggiatore che sapeva leggere l’anima dei luoghi – la scuola religiosa fu un faro di sapere per generazioni. Niente orpelli, nessuna architettura da cartolina: solo un cortile centrale, cinque aule con piccole cupole e un’aula magna sormontata da una cupola più grande, come a dire: qui, il sapere è la nostra preghiera. Anche lei fu colpita dalla guerra. Anche lei risorse, come chi ha ancora qualcosa da insegnare.
Hammam: l’antico bagno turco di Počitelj
Più in basso, c’è l’hammam. Non è imponente. Non vuole esserlo. Ma è perfetto. Un piccolo gioiello di simmetria e calore, costruito – dicono – nel 1664 da artigiani venuti da Istanbul, gente che sapeva cosa vuol dire costruire un luogo per purificarsi, non solo nel corpo ma anche nello spirito. Le stanze riscaldate, i delicati giochi di luce e l’atmosfera avvolgente lo rendono ancora oggi un luogo affascinante.
Han di Šišman Ibrahim-Pašha: la locanda di Počitelj
Nel fitto intreccio di vicoli e pietra di Počitelj, c’è un luogo che un tempo offriva ristoro e tregua a chi veniva da lontano. L’Han di Šišman Ibrahim-Pasha, costruito intorno al 1665, era un rifugio per uomini e animali, un microcosmo dove il commercio, la fatica e l’ospitalità si mescolavano sotto lo stesso tetto.



Strutturato su un solo piano, l’han accoglieva i mercanti e i viaggiatori con un grande cortile interno. Qui, i cavalli venivano lasciati a riposare, le selle poggiate a terra, il sudore del viaggio dissolto nell’aria fresca del mattino. Gli ospiti, stanchi ma grati, trovavano nel podio rialzato un posto sicuro dove distendersi, magari con un piatto caldo.
Oggi, dell’antico splendore, resta poco. Un arco scolpito, come una soglia rimasta a metà, e qualche traccia di mura, a sinistra e a destra dell’ingresso. Negli anni ’70, qualcuno ha provato a ridargli vita trasformandolo in ristorante – un’idea romantica, forse un tentativo di riannodare i fili con il passato. Ma il tempo ha avuto l’ultima parola. Anche se, a guardarlo bene, questo han non è scomparso: è solo entrato in un’altra stagione della sua esistenza.
Sahat-Kula: la torre dell’orologio di Počitelj
In alto, su una delle punte della città, svetta la Sahat-Kula, la Torre dell’Orologio. Nessuna menzione nei diari di Evlija Čelebi, eppure è lì, ben piantata nella pietra. Costruita probabilmente dopo il 1664, la torre si impone con grazia e severità, una combinazione rara. È alta, stretta, tagliata nel tempo con conci perfettamente squadrati. La sua punta, una piramide di pietra, si perde contro il cielo dell’Erzegovina.
La sua architettura è una fusione poetica: ottomana nell’anima, mediterranea nei dettagli. I quattro archi sopra l’ingresso, ognuno diverso dall’altro, non sono solo decorazioni: sono variazioni sul tema del tempo. Ogni curva e angolo, racconta un momento, un secolo, un passaggio.
Non serviva solo a segnare le ore. Era un richiamo alla preghiera, un faro urbano per chi viveva e lavorava sotto di lei. E ancora oggi, chi decide di salire le sue strette scale e affrontare la sua altezza – 16 metri che sembrano molti di più – viene ricompensato con una vista che toglie il fiato. Per chi ha tempo – e a Počitelj è quasi obbligatorio averne – la torre è aperta ogni giorno dalle 10:00 alle 17:00. Il biglietto costa solo 3 KM (1,50€).
La Torre e il Complesso Gavrankapetanović di Počitelj
Arroccata sulla sommità di una collina, la Torre di Gavrankapetanović faceva parte del sistema difensivo medievale della città, un baluardo innalzato contro le minacce dei secoli turbolenti. Oggi, sopravvive come uno dei simboli più iconici di Počitelj.
Il nome stesso della torre evoca la prestigiosa famiglia Gavrankapetanović, protagonista della difesa e dell’amministrazione della città nei secoli passati. All’interno delle sue mura si celano oggetti e memorie, piccoli frammenti di storia che parlano di guerre, strategie, vite vissute nell’ombra di un Impero.
Accanto alla torre, il complesso residenziale dei Gavrankapetanović rappresenta il culmine dell’architettura domestica di Počitelj. Composto da due edifici più piccoli e uno principale, risalenti ai secoli XVI e XVII, l’intero complesso è un inno all’eleganza sobria e funzionale dell’epoca. La facciata occidentale, ornata da finestre ad arco, rivela una grazia architettonica che si unisce a una solida imponenza, testimoniando secoli di raffinata abitazione e vita aristocratica.
Nel corso del Novecento, il complesso cadde in abbandono. Ma nel 1961, un’idea visionaria ne cambiò il destino: fu avviato un progetto per trasformarlo in una colonia per artisti. Nel 1975, l’edificio centrale fu adattato a questo scopo, restituendo al luogo una nuova anima, fatta di colori, forme e ispirazioni. Tuttavia, il sogno fu spezzato dal conflitto degli anni ’90. Il fuoco distrusse il prezioso haremluk, la porzione più delicata e poetica della casa, con i suoi pilastri in legno e il tetto di tegole.
Oggi, grazie al Programma di Tutela Permanente di Počitelj, il complesso è stato restaurato con cura filologica. E la sua vocazione artistica è rinata: tra quelle mura si respira di nuovo creatività.
Indirizzo: 4PPJ+9GG, Čapljina, Bosnia ed Erzegovina
Orari: aperto tutti i giorni dalle 9:00 alle 18:00.
Biglietto: 5KM (2,50€)



L’antica fortezza di Počitelj
Costruita a pezzi, tra il XV e il XVIII secolo, la fortezza di Počitelj è un mosaico di cicatrici. È evidente che si è sviluppata nel tempo. Prima un nucleo medievale, ruvido e funzionale risalente alla fine del XIV secolo: un mastio, qualche bastione, un cortile nudo. Poi, nella seconda metà del XV secolo, le aggiunte, gli ampliamenti, i tentativi di adattarsi a nuove minacce, guerre e logiche emergenti.
Ma già prima che la prima pietra fosse posata, qui c’era qualcosa. Forse un insediamento antico, un’altra vita, un altro nome. Nel 1698 – proprio quando altrove il mondo si lasciava alle spalle spade e cannoni – qui si costruiva ancora per difendersi. Nuove mura, una torre quadrata, bastioni che portano nomi di uomini che probabilmente morirono prima di vederli completati. Due porte grandi e altre due più piccole, una casa del Dizdar (il comandante del forte), un ampio cortile, un granaio, perfino una piccola moschea all’interno. E poi la “torre dell’acqua”, un’idea semplice e geniale: una cisterna per non morire di sete durante un assedio.
La guerra degli anni ’90 ha provato a spezzarla, ma la fortezza ha retto. Ha perso alcune parti, ha subito delle ferite, ma è ancora lì. In piedi.
Informazioni utili per visitare a Počitelj
Počitelj si trova a soli 40 km da Mostar e a 24 km da Stolac, e si raggiunge facilmente lungo la strada principale che collega questi due affascinanti centri della Bosnia-Erzegovina.
Dopo aver parcheggiato in uno dei piccoli parcheggi all’ingresso del villaggio, le stradine acciottolate salgono in silenzio, fiancheggiate da case in pietra e moschee dalle linee eleganti. Verso la sommità del villaggio, si raggiunge il cuore sacro di Počitelj: la moschea e la madrasa. Da qui, il sentiero si biforca. A sinistra, una breve e ripida salita conduce alla torre che si affaccia sulla Neretva: un punto panoramico affascinante, ma vertiginoso. A destra, la strada si snoda, portando a un nuovo belvedere: una moderna struttura in ferro e vetro, discreta ma scenografica, da cui lo sguardo abbraccia a 360 gradi la valle, il fiume, l’intero villaggio, che si aggrappa con fierezza al pendio.
Dopo aver esplorato il villaggio e ammirato la vista, è il momento di una pausa gustosa presso il Bistro Stari Grad (Čapljina), situato ai piedi del borgo. Il menù è sintetico ma autentico e le porzioni sono generose.
Conoscevate già Pocitelj? L’avete già visitata o lo farete presto? Fatemelo sapere qui nei commenti, oppure sulla mia pagina Instagram!